PREMESSA
C’è chi piace e chi non piace, chi è più scrupoloso e chi lo è meno, chi lavora meglio e chi peggio e… c’è spazio per tutti!
Divampa, dalla notte dei tempi, la polemica su Linkedin, a proposito della “professionalità” di chi fa selezione del personale.
Ogni occasione viene colta al volo, con sadico entusiasmo, per lamentarsi nel pubblico sfogatoio, della (presunta) scarsissima professionalità, competenza, correttezza e capacità di chi, gravissima colpa, è persino pagato per fare selezione del personale in una sorta di rito collettivo di autoassoluzione per sé stessi e le proprie responsabilità individuali.
Il “colpevole” è sempre qualcun altro!
Se ci si dovesse basare esclusivamente su quanto si legge quotidianamente su Linkedin, potremmo affermare con certezza che se non esistessero i recruiter non esisterebbe nemmeno la disoccupazione ed il mondo del lavoro sarebbe l’Eden.
Qualcuno per la verità, corregge parzialmente il tiro, chiarendo che in effetti il ruolo del recruiter, come intermediario tra domanda ed offerta di lavoro, può avere pesino una qualche utilità, precisando però che solo all’estero (di solito in Germania) i recruiter sono seri mentre da noi sono tutti nel migliore dei casi degli incapaci se non dei ciarlatani.
Detto che nel settore della selezione del personale c’è un quasi totale monopolio delle grandi multinazionali e che queste, ovviamente, operano in Italia esattamente con le stesse modalità, strumenti e professionalità che in qualunque altro paese; più realisticamente va forse affermato senza timore che, come in tutte le attività umane, anche in questa ci sono modi diversi di farla, approcci differenti, difficoltà contingenti, possibilità di sbagliare, fortuna e sfortuna.
Un modo per ovviare a tutto questo ci sarebbe, ed è affidare le selezioni all’intelligenza artificiale; io sarei costretto a fare un altro lavoro, ma siamo sicuri che tutti quelli che oggi si lamentano di come sono trattati dai recruiter sarebbero improvvisamente felici?
Allora il mio sospetto è che ogni volta che qualcuno scrive qualcosa contro la categoria intera dei recruiter, stia in realtà raccontando, senza un briciolo di coraggio, il proprio personale e duplice fallimento.
Ci sta dicendo, con il suo rancoroso post che ha fallito una prima volta perché non è riuscito a farsi scegliere, lui senz’altro migliore tra tutti coloro che con lui erano in lizza, e soprattutto ha fallito una seconda volta perché non è riuscito in alcun modo a comprendere il perché non sia stato scelto, sprecando così anche l’occasione per imparare qualcosa.
Chissà che un giorno non appaia il rivoluzionario post di qualcuno che affermerà pubblicamente di essere stato giustamente e comprensibilmente scartato da un recruiter in una selezione, riconoscendo che non sarebbe stato lui il candidato corretto da assumere.
Fino ad allora personalmente sono rassegnato al fatto che il nostro lavoro sia anche esattamente quello di Benjamin Malaussene
“Ci sedemmo dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti erano occupati” – Bertolt Brecht
Faccio questo mestiere, insieme a quello di Responsabile del Personale, da ormai 28 anni ed ho spalle larghe e coscienza pulita per non farmene (più) in nessun caso un cruccio ma sono profondamente amareggiato per quei colleghi più giovani messi alla gogna che, non potendo avere sufficiente esperienza, debbono portare questa pesante croce sulle loro spalle.
In fondo basterebbe davvero poco per evitare questo sciocco gioco al massacro, sarebbe sufficiente che si comprendesse appieno che nella triangolazione tra committente, recruiter e candidati l’interesse è lo stesso per tutti i soggetti: realizzare, possibilmente il più velocemente possibile il “matrimonio perfetto”.
“Ciò che non è assolutamente possibile è non scegliere” – Jean Paul Sarte